Il Coordinatore per la sicurezza (CSE) è obbligato alla sola “alta vigilanza” sui lavori eseguiti in appalto, e non alla “vigilanza operativa”, che compete all’appaltatore

Il Coordinatore per la sicurezza (CSE) è obbligato alla sola “alta vigilanza” sui lavori eseguiti in appalto, e non alla “vigilanza operativa”, che compete all’appaltatore
26 Agosto 2020: Il Coordinatore per la sicurezza (CSE) è obbligato alla sola “alta vigilanza” sui lavori eseguiti in appalto, e non alla “vigilanza operativa”, che compete all’appaltatore 26 Agosto 2020

Le cause del nostro studio

Il Tribunale di Treviso (G.U.: Dott.ssa Giulia Civiero), con la sentenza n. 591/2020, ha avuto modo di affrontare in maniera davvero esauriente una delle tematiche più controverse in materia di infortuni sul lavoro, e cioè quella della responsabilità dei diversi soggetti coinvolti nell’esecuzione di opere edilizie eseguite in esecuzione di un contratto di appalto (e dei contratti di subappalto frequentemente a questo collegati).

Nel caso specifico l’INAIL aveva esercitato azione di regresso, ex art. 1916 c.c., per le indennità e le rendite corrisposte al lavoratore di una ditta subappaltatrice dei lavori di esecuzione dell’impianto elettrico (ditta Alfa) di un fabbricato in corso di ristrutturazione che, recatosi sul tetto per ultimare i fori necessari ad eseguire il passaggio di alcuni cavi elettrici, precipitava da un lucernaio che era “coperto da un semplice telo di nylon e da un morale non ancorato” predisposto dal subappaltatore cui erano stati commessi i lavori di ricostruzione del tetto (ditta Beta), procurandosi gravi lesioni.

L’Istituto aveva convenuto a giudizio l’impresa appaltatrice, il suo delegato per la sicurezza, il subappaltatore che stava realizzando la ricostruzione del tetto dell’edificio (ditta Beta) ed il Coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori (CSE), imputando a ciascuno di essi la responsabilità che riteneva di rispettiva competenza, anche sulla base degli accertamenti dello SPISAL e delle risultanze di un procedimento penale che aveva visto imputato pure il datore del lavoratore infortunato, che era stato assolto. 

La sentenza ha affrontato distintamente le problematiche inerenti alla posizione dei singoli convenuti e, con riguardo a quella del CSE ha anzitutto ribadito l’irrilevanza, ai fini del giudizio civile, del fatto che il decreto penale di condanna emesso nei suoi confronti per il reato di lesioni personali colpose fosse passato in giudicato in difetto di opposizione, stante quanto espressamente disposto in tal senso dall’art. 460 c.p.p..

Ai fini dell’”autonoma valutazione” della responsabilità del convenuto in tal caso rimessa al Giudice civile, il Tribunale si quindi è chiesto quali fossero “gli obblighi che incombevano” al CSE, osservando che questi, in linea di principio, “erano quelli di porre in essere le opportune azioni di controllo e coordinamento circa l’esistenza dei presidi di sicurezza sul tetto e verificare l’applicazione delle procedure di lavoro da parte delle imprese esecutrici”.

In concreto, poi, tali obblighi si sostanziavano in un duplice ordine di adempimenti.

Anzitutto, nella predisposizione del “Piano di Sicurezza e Coordinamento di cui all’art. 100 del D.Lgs. 81/2008” che, nel caso specifico, era stato redatto, era risultato “immune da censure da parte dello SPISAL” ed aveva “espressamente escluso la compresenza sul tetto di operai” della ditta Beta “e di lavoratori di ditte diverse, tanto che, se un dipendente di una subappaltatrice diversa” dalla ditta Beta “avesse dovuto o voluto recarsi sul tetto, avrebbe dovuto chiedere espressa autorizzazione al Coordinatore”.

Con la precisazione che “l’unico punto di contatto tra le lavorazioni” della ditta Beta e della ditta Alfa, tale quindi da interessare il lavoratore infortunato, “era costituito dall’installazione dell’antenna (per la quale era prevista una procedura apposita)”, di cui però il medesimo lavoratore “pacificamente non si stava occupando” quando si era infortunato.

Quanto, invece alla fase dell’esecuzione dei lavori, era stato documentalmente e testimonialmente provato che il CSE aveva provveduto a “organizzare le interferenze tra le varie ditte incaricate, coordinandone le attività e segnalando le eventuali violazioni del PSC”, mediante “periodiche riunioni di coordinamento in tema di sicurezza” che si tenevano con frequenza settimanale.

Chiarito ciò in punto di fatto, la sentenza è tornata a ragionare in punto di diritto, precisando che “il Coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori ha compiti che vengono definiti dalla giurisprudenza di “alta vigilanza”, distinta dalla c.d. “vigilanza operativa” che spetta all’appaltatore” (cfr. Cass. penale nn. 45317/2019, 11692/2018, 1490/2009).

Tali compiti si devono esplicare:

a) nel controllo sulla corretta osservanza, da parte delle imprese, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori;

b) nella verifica dell’idoneità del piano operativo di sicurezza (POS) e nell’assicurazione della sua coerenza rispetto al piano di sicurezza e coordinamento;

c) nell’adeguamento dei piani in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, verificando, altresì, che le imprese esecutrici adeguino i rispettivi POS”.

Doveri questi relativamente ai quali non risultavano inadempienze del CSE, al quale peraltro, atteso il contenuto specifico dei suddetti compiti, non poteva imputarsi “la verifica concreta e quotidiana del rispetto delle direttive impartite con il PSC e della predisposizione di tutti quei presidi di protezione individuale e collettiva che, per loro stessa natura e per la particolare connotazione dell’attività cantieristica, sono soggetti a spostamenti anche giornalieri” e che quindi rientrava “nella c.d. vigilanza operativa” di competenza dell’appaltatore.

Con il corollario per cui “il Coordinatore non è tenuto anche a un puntuale controllo, momento per momento, delle singole attività lavorative, che è invece demandato ad altre figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)”.

Ciò con salvezza dell’"obbligo, previsto dall’art. 92, lett. f) del D.Lgs. 9 aprile 2008 n. 81, di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente direttamente riscontrato, le singole lavorazioni, fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte delle imprese interessate”, ipotesi che nel caso specifico non ricorreva.

Il Tribunale ha, quindi, rigettato la domanda proposta dall’INAIL nei confronti del CSE, in quanto infondata.

La sentenza si segnala non solo per la chiara individuazione dei compiti propri del CSE, in contrapposizione a quelli che la normativa antinfortunistica attribuisce all’appaltatore, ma anche per la sua puntuale applicazione ad una fattispecie (purtroppo) ricorrente nei cantieri edili, consistente negli infortuni per caduta causata dall’omissione delle prescritte misure antinfortunistiche associata all’inosservanza delle prescrizioni del PSC da parte del lavoratore infortunato, nonché dall’interferenza delle lavorazioni distintamente eseguite dall’appaltatore stesso e/o da uno o più subappaltatori.

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